P. 128 - 168 ritorna per la terza volta a Firenze per le feste di San Giovanni e confessa in fine che a ragione si dice bella.
P. 172 a tempo di Montaigne i contadini, e fino le pastorelle cantavano l'Ariosto. Poi successe il Tasso. Or che si canta? Non so. Per le strade della città si sentono ripetere le migliori arie del teatro. Ai ragazzi mi pare che principino a mancare le canzoni.
P. 190 nei Monti Pisani al tempo di Montaigne si cavavano i marmi, e si lavoravano grandissime colonne per Muley Amet re di Fez.
P. 204 un artista legnaiuolo in Pisa sapeva conoscere l'età degli alberi che li fossero portati, e del sito in cui stavano sapendo che ogni anno crescono un giro, e che la parte ch'è volta a settentrione è più stretta. Verità fisica non così fresca come si vuol far credere.
P. 210 si biasima Pisa, e si fa ai pisani il carattere che hanno ora cioè di "poveri, di altieri, e di poco cortesi".
P. 214 racconta Montaigne una scandolosa zuffa fra i preti del duomo, e i frati di San Francesco per causa di un morto. Or non si permetterebbe tanta indecenza.
P. 218 Montaigne parla del medico