Copia di lettera del signor cardinal Segretario di Stato a monsignor vescovo Scipione de' Ricci. Illustrissimo e Reverendissimo signore. Giunto il Santo Padre in Roma, ed essendosi occupato, dopo che le sue gravi cure glielo hanno permesso, di quanto si contiene nella lettera di Vossignoria Illustrissima e Reverendissima de' 29 marzo da me umiliatagli per debito del mio officio, colla solita sua benignità mi ha comandato di significarle in suo nome il sovrano suo gradimento per il complimento di felicitazione da lei avanzatogli per la sua assunzione al Sommo Pontificato. Quanto poi a tutto il di più, che forma il principale oggetto di detta lettera, debbo in suo nome manifestargli, che veramente il suo paterno cuore è rimasto penetrato d'un vivo dolore, anziché di soddisfazione e di gioia, nell'avere rilevato da quali sentimenti ella sia ancora animata invece di quelli che Sua Santità in seguito di tutto l'occorso finora si aspettava di sentirsi da lei annunziare. La carità che infiamma il cuore di S. B. e il vivo desiderio che ha di essere da lei posta in istato di poter senz'ostacoli abbracciarla come fratello senza macchia, lasciando libero il corso anche verso la di lei persona a quella affettuosa benevolenza con cui il Santo Padre si fa un vero pregio di riguardare il rispettabile corpo di vescovi, l'hanno indotto ad ordinarmi di significarle in suo nome colla maggiore effusione del suo cuore i sensi che vi hanno destati questi nuovi suoi scritti. Io debbo adunque dire che avendoli Sua Santità presi in matura considerazione, ha ritrovato che in luogo di riconoscere ella in tali scritti i suoi errori non fa anzi in sostanza sennonché giustificarvi la sua passata condotta. Ben lontano il Santo Padre dall'immaginare, che ella volesse tenere simile contegno, credeva anzi e si aspettava, che ella gli avrebbe dato un più significante attestato della sua filiale sommissione con una sincera confessione degli errori sparsi in molti dei suoi scritti, e specialmente nel suo Sinodo di Pistoia, ed insieme una protesta di aderire, ed accettare non già nel modo, con cui ella si esprime nella sua lettera alla S. M. di Pio VI, e in quella al Santo Padre medesimo, ma ben puramente, semplicemente, e con sommissione di cuore e di mente la bolla dommatica Auctorem fidei dello stesso Sommo Pontefice, dichiarando in tal protesta l'interno suo assenso a quanto è stato in essa bolla decretato in riguardo sì al domma che alla disciplina. Aspettava eziandio il Santo Padre una revoca di tutti quegli atti, ordinazioni, e decreti con cui ella si discostò dalla pratica comune, e dalla disciplina universale della Chiesa, ed una ritrattazione di tutti quegli scritti, e libelli, con cui ella volle sostenere le novità da lei introdotte nella diogesi di Pistoia, e di Prato. La stessa Sua Santità attendeva finalmente da lei una riparazione allo scandolo, ed al gravissimo danno che ha cagionato alle anime de' fedeli col promovere una condotta sempre contraria a quella che un vescovo deve tenere verso il Romano Pontefice, e col non aver mai dato in tanti anni alcun pubblico segno di ravvedimento. Ora il Santo Padre con suo molto rammarico nulla di tutto ciò ha ritrovato nell'accennata sua lettera, e neanche in quella che aveva preparata per la S. M. di Pio VI. Ciò nulla ostante non cessa il paterno cuore della Sua Santità di chiamarla, d'invitarla, e di aspettarla a ravvedersi, ed a confessare con sincerità di animo, e purità d'intenzione i suoi traviamenti. Dall'infinita misericordia del Signore spera Sua Santità questa grazia, e frattanto esorta lei ad implorarla con umili, e ferventi preghiere, e con uno spirito docile agli insegnamenti della madre comune la Santa Romana Chiesa uniformandosi all'esempio di tanti altri vescovi suoi confratelli, i quali hanno veramente eseguite le apostoliche costituzioni. Né il Santo Padre mancherà di aggiungervi per quest'effetto medesimo le più fervide sue orazioni. Sarebbe per lui la massima delle consolazioni il potere sul principio del suo pontificato stringere fra le sue braccia un vescovo suo fratello pentito, e ravveduto, e perciò spera che non vorrà ella differire ulteriormente a dargliene le prove più sincere, e convincenti. In caso contrario io sono costretto a prevenirla che il Santo Padre dopo aver sodisfatto a tutte le parti di padre amorevole, e di buon pastore, non potrà dispensarsi dal prendere quelle misure, che indispensabilmente esige il suo apostolico ministero. Ciò sommamente rincrescerebbe a Sua Santità ma pure quando riescano infruttuosi tutti i mezzi dell'esortazione, e della dolcezza, non potrà prescindere dal far uso di quella suprema potestà, che da Dio è stata trasfusa in San Pietro, e ne' suoi successori. Non può il Santo Padre non richiamarle alla mente quella massima a lei certamente non ignota inculcata dal glorioso Pontefice San Leone al vescovo aquileiense (ep. I edit. FF. Ballerin. cap. 4) in riguardo ai pelagiani, e celestiani "Qui correctos se videri volunt, ab omni suspicione se purgent, et obediendo nobis probent se esse nostros. Quorum si quisquam salubribus praeceptis satisfacere detrectarit, sive ille clericus, sive sit laicus, ab ecclesiae societate pellatur, ne perditor animae suae salutis insidietur alienae". Sono questi i precisi sentimenti della Sua Santità che dovevo io parteciparle nel mio particolare sommamente desideroso di potere efficacemente cooperare dal canto mio alla sua riconciliazione col capo visibile della Chiesa, non posso, che vivamente eccitarla a voler sentire l'importanza di questi sensi del Santo Padre lusingandomi che vorrà ella usare di tutti i mezzi per conseguire un intento, che nell'esser per lei del più grande interesse, sarebbe di edificazione a tutti i fedeli, e procurerebbe a me la dolce soddisfazione di avervi colla debole mia opera potuto contribuire. Con che resto baciandole le mani di Vossignoria Illustrissima, e Reverendissima. Roma 26 settembre 1800. Servitor vero Cardinal Consalvi.