Femmine nell'Oriente. Che riflessione, che la sociabilità abbia condotta una metà del genere umano in Persia in Turchia, sull'Indo alla schiavitù, alla prigionia, alla miseria! Eppure ciò è vero. Le donne colà sono rinchiuse, la gelosia le ha ridotte alla vil qualità di soli istrumenti di piacer sensuale, e le ha rese oggetto solo di lusso. E come? Delle belle cose si dicono del clima di quelle contrade, del temperamento di quelle creature, dell'origine lontana di quel costume, ma la verità è che l'orgoglio dell'uomo l'ha fatto divenir geloso, e che ovunque vorrebbe essere il tiranno della femmina, e non lo ha intieramente ottenuto se non dove la legislazione, la religione ha saputa, o potuta chiamare in suo soccorso, servendosi di una folla di pregiudizi fatti nascere per le circostanze. Fra le nazioni selvaggie le donne non sono assai felici, ma la loro sorte è la servitù. Nell'Oriente ella è ancora più misera. Ella è la prigionia. E cosa sia questa prigionia, cosa l'effetto di lei lo dicono bene le femmine del serraglio di Usbek nelle Lettere persiane. Che infelice stato è il loro! L'abitudine forse lo mitiga, la privazione di confronti lo diminuisce forse. E gli uomini non amano queste creature, se non come noi amiamo i nostri cavalli. Lo confessa Usbek stessi all'amico Nessir. Ne' serragli orientali dunque non penetrarono mai le imagini platoniche, gl'innocenti deliri petrarcheschi, i quali tanto deliziano le anime sensibili di Europa. Eppure i poeti di quelle contrade sono anche più caldi dei nostri, e pieni di pensieri sublimi. Ma questi sono slanci di fantasia come quelli, che ci risvegliano le solitarie contrade per i fiori, per i boschi, per i ruscelli. La troppa dimestichezza col sesso portò i greci ad un altro amore, la troppo poca porta allo stesso vizio gli orientali, ma in sostanza le donne fra loro sono più infelici delle nostre infelici religiose, perché non hanno le stesse speranze neppure.