Del sapere umano. Lo studio verte sopra le cose, o sopra i fatti. Le cose altre sono materiali, corporee, altre immateriali, incorporee. Tutti gli essere della natura sono sostanze di cui Aristotile ha detto non essere né quali, né quante, ma quelle tal cose, non delle quali si dicono, ma delle quali si fanno tutte le altre. Le forme, le qualità, le virtù, le facoltà ecc. sono cose distinte da materia, ma pur soggette allo studio dell'uomo, e legate con la materia, che per esse lascia di essere inerte, e bruta. I fatti sono un altro gran ramo delle ricerche dell'uomo. Esisteva Roma e la sua esistenza involve mille oggetti, anche morali. Chi si dedica a questo, chi a quello studio. "Magno se iudice quisque tuetur". Ma lo spirito umano non si limita in questi cancelli, e vagando per vaste contrade ignote a lui stesso, crea, immagina, astrae, e molte scienze compone, le quali non sono in natura, ma nella sua fantasia, nell'attitudine solo della sua mente, compiacendosi fino dell'arte di distillare i fiori che "Uccide autunno in fasce, e in vetri cavi / Nell'abortivo fior distrugge il pomo" per servirmi dell'espressione dell'Azzolino nella sua satira contro il lusso. Il bel discorso d'Alembert alla testa dell'Enciclopedia analizza largamente il patrimonio del nostro intelletto al quale danno fin pascolo "le minuzzie de' corpi lunghe, e corte" investendolo, occupandolo, tormentandolo oltre il dovere. "Troppo sarebbe larga la bigoncia" la quale dovesse, o volesse raccorre tutto questo, quando, o mio simile condannato ancor sei a tante miserie, ed alla sferza di quel potentissimo signore il cui impero "credo che senta, ogni gentil persona". Non fu mai prova maggiore, e lo confessino lor mal grado i libertini, dell'essenza, esistenza, immaterialità dell'anima umana di questa, che sapendo, e volendo volgersi a tutto nell'analizzarlo, e nel comporlo trova per i suoi desideri. "Io per me son quasi un terreno asciutto" e non ostante quante fantasie mi sono saltellate nel cerebro, quanti grilli volarono entro di lui, quante idee v'impressero i sensi. "E ciò che in me non era / Mi pareva un miracolo in altrui". "Poca favilla gran fiamma feconda". Concluderò per finire, per non vagare, per non meritarmi un sorriso maligno degl'insipidi, che imbattendosi in questa fanfaluche, per non arrossir di loro di me prendessero voglia di burlarsi, tanto più che "Tutta ho cerco in me stesso, entro, e di fuore, / La ragione de' sensi, e della mente, / Ne ancor ti trovo".